Palestina 2019

Diario di viaggio pubblicato in collaborazione con l’associazione sarda “Ponti non Muri

Welcome to Betlemme

16 Dicembre 2019, Palestina.

Introduzione

Circa cinque anni fa in occasione di un pellegrinaggio in Terra Santa ho avuto modo di conoscere la realtà della Créche di Betlemme, orfanotrofio che accoglie i bambini orfani palestinesi abbandonati. Ogni parola uscita dalla bocca di suor Maria mi colpì profondamente, e dopo un pomeriggio passato a giocare con quei bambini questa esperienza è rimasta scolpita in me. Senza dubbio esistono molte realtà difficili, molte persone che si trovano a vivere situazioni complicate ed affrontano problemi di ogni tipo, onestamente però, per quanto mi riguarda, la condizione nella quale vivono questi bambini della Créche è la più complessa e triste che io abbia mai toccato. Bambini nati in un territorio già difficile di per se, tra mille tensioni sociali, religiose, militari, bambini nati fuori dal matrimonio, abbandonati ed orfani di genitori sconosciuti condannati ad una vita da “persone di serie b”. Infatti per la cultura e le tradizioni locali una donna rimasta incinta fuori dal matrimonio può arrivare ad essere uccisa dai propri familiari, quindi molte ragazze, dopo essere riuscite a portare avanti la gravidanza di nascosto, abbandonano il figlio. Queste donne spesso sono chiamate ad atti eroici per poter partorire il proprio figlio, poi però sono sempre costrette ad abbandonarlo. Non venendo rilasciato un certificato di nascita ai bambini nati in tal modo, oltre a dover vivere tutte le difficoltà che comporta essere orfani ed abbandonati, crescendo saranno costretti ad affrontare ulteriori problemi e discriminazioni. Infatti se da un lato non è consentita l’adozione secondo le leggi locali, dall’altro senza il certificato di nascita è complicato poter ottenere un documento di identità ed il passaporto, l’unica speranza di questi bambini è quella di essere presi in affido da una famiglia palestinese (musulmana, perché secondo le leggi locali i bimbi abbandonati che non hanno un segno cristiano addosso sono considerati automaticamente musulmani, e quindi solamente una famiglia musulmana può accoglierli). Nonostante ciò non otterranno mai la condizione di figli, non avranno mai pari diritti come tutti gli altri cittadini, e per la società locale essere figli di un adulterio è un fattore di forte discriminazione, tanto nella vita privata, quando sul lavoro ed in altri ambiti. Di situazioni complicate ne ho conosciute varie durante la mia vita, ma onestamente questi piccoli orfani, nati in un territorio in costante piede di guerra, destinati ad essere considerati per sempre persone di serie b, senza mai aver fatto nulla di male, ed avendo difficoltà addirittura ad ottenere un documento di identità, senza nemmeno avere la possibilità di poter essere adottati… beh, difficilmente potrei immaginarmi una situazione più tremenda. Da quando i miei occhi hanno incrociato lo sguardo di alcuni di questi bambini, anno dopo anno, l’esigenza di dover fare qualcosa per questi piccoli è cresciuta sempre più. Come studente di giurisprudenza, sul punto di diventare avvocato, ancora senza quasi neanche i soldi per potermi mantenere da solo, ho quindi deciso di dedicare a loro la mia tesi finale del Master che sto frequentando in Spagna all’Universidad Complutense de Madrid (avendo trovato un professore coraggioso che ha appoggiato fin da subito l’idea!!).

Analizzando la situazione giuridica sopra descritta attraverso la Convenzione ONU dei Diritti sull’Infanzia, tenendo in considerazione l’operato del Comitato ONU relativo a tale Convenzione, l’idea è quella di cercare tutte le possibili vie legali per poter migliorare la condizione di questi bambini, rispettando quindi leggi e cultura locale, facendo leva però sull’obbligo che Palestina, ed Israele come forza occupante, hanno di dover applicare e rispettare tale Convenzione ed i diritti dei bambini sanciti in essa, dal momento in cui sono entrambi paesi firmatari.

Sono riuscito a ritagliarmi tra lavoro ed università una settimana di tempo per poter tornare a Betlemme ed incontrare certe persone coinvolte nel campo degli orfanotrofi e dei servizi sociali (prima tra tutte la mitica suor Maria), per poter studiare e capire al meglio la situazione giuridica locale per poi poter scrivere la tesi, con il cuore pieno di speranza, anche se quando si fa della ricerca di questo tipo si parte con tante domande e solamente alla fine si potrà arrivare a delle conclusioni che ci si augura possano essere utili davvero.

Durante questi giorni farò aggiornamenti su come procede il viaggio e sugli sviluppi di questa avventura.

Prima di tutto ci tengo a ringraziare di cuore Lavinia di “Ponti e non Muri” per avermi aiutato fin dal primo momento, senza di lei probabilmente l’idea iniziale della tesi difficilmente sarebbe potuta diventare realtà. Il suo sostegno e le sue doti organizzative sono stati elementi essenziali per poter essere qui in Palestina adesso, proprio mentre sto scrivendo queste righe, ed avere una serie di appuntamenti con persone che potranno aiutarmi molto nella ricerca.

Inizio dell’avventura

Sono partito lunedì 16 Dicembre da Madrid al mattino presto, atterrato a Tel Aviv ho deciso di voler arrivare a Betlemme attraverso i mezzi pubblici, da Tel Aviv a Gerusalemme in treno non ci sono stati problemi, anche se poi da Yafo Central Station a Betlemme è stata un po’ un’avventura. Complici il traffico, il mio scarso senso dell’orientamento, le fermate dei bus nelle quali passano mille numeri diversi in tutte le direzioni intorno a Yafo, sono riuscito a prendere un bus esattamente nella direzione contraria rispetto al mio punto di destinazione, poi però, chiedendo un po’ a tutti, ho preso un paio di bus corretti (per informazione il 75 e poi il 231) e sono arrivato a destinazione. Devo dire che tutte le persone a Gerusalemme si sono dimostrate particolarmente simpatiche e disposte ad aiutare, la differenza di infrastrutture e trasporti è abissale rispetto alle due tratte che ho fatto (Tel Aviv – Gerusalemme e Gerusalemme – Betlemme), ed in particolare è stata molto divertente la parte finale del viaggio con l’ultimo bus che si fermava dovunque le persone suonassero lo stop, ed io che avevo quindi completamente perso il numero di fermate che teoricamente avrebbero dovuto esserci prima della mia.

Arrivato sano e salvo a Betlemme, dopo l’ennesima decisione poco saggia dettata dalla fame, ossia, mangiarmi una pizza, mi sono messo a studiare su una serie di appunti che ho elaborato negli ultimi mesi, in particolare per prepararmi agli incontri di questi giorni ho studiato approfonditamente l’ “inicial report” che lo stato di Palestina ha consegnato alla Commissione ONU per i diritti dell’infanzia (così come obbliga l’articolo 44 della Convenzione). Così ho deciso i quattro interrogativi fondamentali ai quali dovrò trovare risposte durante questo viaggio. Dopodiché sono crollato a letto, ovviamente dopo una bella, quanto necessaria, doccia. (evito di scrivere nei dettagli gli interrogativi giuridici della ricerca, essendo ancora il tutto in work in progress…)

Un gatto tra gli archi di Betlemme
Chiesa della Natività di Betlemme

Oggi, martedì 17 Dicembre, mi sono svegliato carichissimo per poter iniziare nel vivo gli incontri e le visite, prima tappa, ovviamente, la Créche! È stata un’emozione fortissima tornare lì, rivedere suor Maria ed ascoltare dalla sua voce tante altre storie di bambini e dei modi più disparati attraverso i quali sono arrivati alla Créche in questi ultimi mesi ed anni…chi abbandonato davanti una Moschea…chi in un fagotto al lato di una strada di campagna, ritrovato da dei ciclisti, mezzo mangiato dalle formiche…chi è stato partorito lì da una madre costretta a scappare poche ore dopo il cesario ancora quasi sotto effetto dell’anestesia…e così via…

A stento ho dovuto trattenere le lacrime molte volte oggi, non ho mai ascoltato storie così tristi, eppure gli occhi e la gioia di suor Maria, la quale sostiene piena di felicità che alla Créche ogni giorno c’è il “miracolo della vita”, mi hanno fatto capire con un chiaro esempio cosa vuol dire essere parte integrante (suor Maria è un pilastro vero e proprio) di un’opera di carità volta a servire un determinato territorio, delle determinate persone, in un determinato ambiente e con una mentalità così distante dalla nostra, senza se e senza ma, trovando gioia e forza nel servire gli altri anche quando la situazione è disperata ed anche quando nessuno ti dice manco grazie… a lei basta il sorriso di uno di questi bambini per essere estremamente soddisfatta di ciò per cui si sacrifica!

Suor Maria sa bene di essere stata chiamata a fare qualcosa di unico, di fondamentale per la vita dei tanti bambini che nei suoi 17 anni di servizio alla Créche sono passati tra le sue braccia e le sue cure, e lei lo sa bene, sa bene che “se non li accogliamo noi non li vuole nessuno questi bambini” , a loro forse mancherà l’affetto di una madre che non potranno mai conoscere, però di sicuro non l’affetto di persone speciali, come suor Maria, che vivono per loro.

Un’altra cosa che non manca a questi bambini è la voglia di vivere e l’attaccamento alla vita, è la stessa suor Maria a dire con un gran sorriso sulla bocca come nonostante arrivino tanto piccoli, denutriti e deboli, si attaccano con tutte le loro forze al biberón (che lei chiama “biberone”) che per loro rappresenta la sopravvivenza.

La Créche è tutto per loro, ed anche se dai 6 anni in poi, se non sono stati dati in affido ad una famiglia palestinese, continueranno la loro crescita presso un’altra struttura (villaggio SOS) la Créche rimarrà per sempre la loro prima casa.

Rispetto alla prima volta che ero stato lì in visita, da quattro anni a questa parte, alla Créche hanno aperto uno spazio all’Interno del quale una specialista (la Dott.ssa Vida Bannoura) si occupa di fare terapia con in bambini, sia individualmente che in gruppetti, attraverso oggetti luminosi, il rumore dell’acqua, luci e scenette che stimolano la fantasia, e tanto altro. I progressi psicologici per i bimbi sono notevoli, è bello sapere che queste attività potranno aiutarli a superare i forti traumi ai quali sono stati sottoposti da neonati.

Domani tornerò alla Créche per parlare con l’assistente sociale che si occupa della Créche, e questo incontro sarà fondamentale per approfondire con lui vari aspetti legali a proposito della condizione dei bambini orfani. Essendo il Ministero dello Sviluppo Sociale in Palestina chi da un punto di vista politico e giuridico si occupa della condizione degli orfani, avere la possibilità di parlare con un assistente sociale potrà essere di grande aiuto per trovare certe risposte a certe domande, sono molto fiducioso!

Gli orfani della Crèche che giocano insieme ai bambini di Betlemme nell’asilo della Crèche

18 Dicembre. La seconda giornata a Betlemme approfondendo la situazione giuridica degli orfani e abbandonati è stata molto produttiva grazie alle tante ore che mi ha dedicato l’assistente sociale della Créche.

Purtroppo però più si analizza dettagliatamente la questione sociale e legale, più ci si addentra in un vortice di contraddizioni e situazioni paradossali tali per cui trovare una scappatoia risulta essere un’impresa praticamente impossibile.

Da un lato, a causa della Sharia, i bambini abbandonati e nati da genitori sconosciuti sono automaticamente musulmani, e dall’altro, sempre a causa della legislazione islamica, l’adozione è vietata. L’unica alternativa prevista è la “kafala” ossia l’affido del bambino ad una famiglia palestinese musulmana, però nei fatti non è un’alternativa sufficientemente efficace per il bene del bambino. La “kafala” infatti non prevede in nessun momento che questo bambino preso in affido da una famiglia diventi parte di essa a tutti gli effetti, non potrà mai ottenere lo status di figlio, con evidenti discriminazioni, a parte che per questioni ereditarie, nella vita sociale e quotidiana una volta divenuto adolescente ed adulto.

La società palestinese, essendo una società di cultura araba, funziona per “tribù”, quello che conta davvero è fare parte di una famiglia, avere un intorno un famigliare forte, che ti protegga e ti sostenga. Un documento di identità non è un elemento sufficiente per avere a tutti gli effetti pari diritti ed essere trattati alla pari di ogni altra persona, no, qui l’essere umano non è concepito, giuridicamente e socialmente parlando, come individuo a se stante, con le sue relazioni, di per se facente parte della società e titolare dei diritti e dei doveri al pari che gli altri. Qui la vita sociale e giuridica sono marcate profondamente dalla mentalità della tribù, dell’appartenenza ad un gruppo famigliare e sociale, è un fatto di sangue, e non di documenti o di norme giuridiche.

Questa serie di situazioni fa si che questi bambini siano condannati ad una vita come persone di serie b, tranne in rarissimi casi.

Ho avuto modo tramite l’assistente sociale di vedere come sono fatti i certificati di nascita, che a volte tardano anni ad arrivare per i bimbi della Créche, complice il fatto che sia di competenza delle autorità israeliane il rilascio di tali certificati.

A radice di tutto ciò è fondamentale segnalare che l’adozione, come detto, non è consentita per i bambini musulmani, mentre per i cristiani in teoria si. Bisogna intendere lo stato Palestinese non come uno stato di diritto nel quale esiste una legge dello stato uguale per tutti. Piuttosto è a seconda della religione di appartenenza che viene applicato alla persona un determinato ordinamento giuridico, con il relativo Tribunale ed ordine giudiziario. Se sei musulmano vivi secondo leggi differenti delle quali vivi se sei cristiano cattolico, ortodosso ecc. (funzionava così anche in Europa quando anticamente a seconda dello status di una persona, esempio clerico, universitario, militare, nobile ecc., si applicavano le leggi dello status della persona ed essa era sottomessa all’autorità dei relativi tribunali, diversi a seconda dello status di appartenenza appunto).

Per finire l’analisi dello scenario nel quale ci si muove è fondamentale sottolineare anche che per i musulmani non è permesso convertirsi ad un’altra religione, una donna musulmana ad esempio non può sposare un uomo cristiano, a meno che lui non si converta prima all’Islam. Ciò rende quindi impossibile, una volta che i bambini sono stati registrati alla nascita come musulmani, cambiare la loro religione, e di conseguenza rendere accessibile l’adozione, che come detto non esiste per i musulmani.

Solo attraverso queste chiavi di lettura è possibile conoscere la mentalità e le leggi locali, e cercare in base ad esse i meccanismi utili per trovare la soluzione giusta, rispettando una cultura sociale e giuridica differente dalla nostra.

Secondo l’assistente sociale della Créche, che parla con gli occhi e l’emozione di chi di battaglie ne ha vissute tante e di fronte al quale non potevo far altro che rimanere muto e fare tesoro di tutta la sua esperienza sul campo di battaglia per il bene di questi bimbi, i bambini della Créche, ed i bambini che si trovano in situazioni simili, sono vittime della loro stessa cultura locale, cultura che non è dovuta a qualcosa che Dio o Allah ha voluto, bensì al volere degli uomini…in estrema sintesi, questi bambini della Créche non solo avrebbero bisogno di un’alternativa legale, ed ancor prima sociale, valida, ma addirittura non dovrebbero proprio essere lì, dovrebbero al contrario essere accettati in società ed ancora prima accettate le donne che li hanno messi al mondo. Perché in fondo in questi giorni ho capito che è da lì che nasce la radice del problema: è dalla condizione e dal ruolo che la donna ricopre nella società, da ciò che può o non può fare a pena di essere ammazzata dai suoi stessi famigliari.

Insomma, parliamoci chiaro, oggi non è venuto fuori proprio il quadro più roseo della situazione, però è fondamentale conoscere bene la realtà, anche se dura, e non lasciarsi scoraggiare, come d’altronde non si è mai lasciato scoraggiare l’assistente sociale che oggi mi ha raccontato tutte queste cose durissime, che sicuramente avrà dovuto mandare giù dei magoni e delle sconfitte durissime durante tutti questi anni, eppure è lì giorno dopo giorno a portare avanti la sua idea di giustizia ed a sacrificarsi per questi bambini dei quali oltre alla Créche proprio a nessuno interessa niente…

Se quando ero piccolo sognavo di conoscere un supereroe, beh, tra il rincontro di ieri con suor Maria e la fortuna immensa che ho avuto oggi di passare la giornata con questo uomo, direi che il mio sogno si sia avverato oltre ogni aspettativa, queste persone incredibili sono molto più che supereroi! Perché in fondo è facile salvare il mondo quando si hanno i super poteri, però salvare la vita di questi bimbi, non solo senza nessun super potere ma addirittura contro letteralmente tutto e tutti, beh, questo è ciò che significa essere coraggiosi sul serio!

Il resto della giornata è proseguito molto bene, a parte che tra Google Maps che da queste parti non è molto affidabile e le indicazioni spesso contradditore dei passanti (tutti gentilissimi) si percorrono chilometri e chilometri a vuoti prima di raggiungere posti che magari sono giusto dall’altra parte della strada rispetto al punto di partenza (Betlemme è tutta in sali e scendi… almeno dimagrisco prima di Natale).

Inoltre oggi ho avuto modo di conoscere il villaggio SOS che accoglie i bambini abbandonati e che vengono strappati da situazioni molto problematiche nella tappa successiva alla Créche, ossia dai 6 ai 13 anni. SOS segue i ragazzi anche dopo quest’età, fino al compimento degli studi universitari ed all’inserimento nel mondo del lavoro. Un’altra gran bella realtà sociale da aggiungere alla lista.

Domani se tutto va bene, attraverso un contatto di un signore (un certo Mufid) che oggi impietositosi mentre mi vedeva per strada completamente perso si è offerto di darmi un passaggio in macchina (i vantaggi di perdersi camminando!) riuscirò a visitare il Mehwar Centre, l’unica struttura della regione che accoglie le donne vittime di violenza domestica ed abusi, nel villaggio di Beyt Sahour, di fianco a Betlemme.

Sono sicuro che domani riuscirò ad aggiungere una bella pagina piena di sorprese a questa avventura in Palestina.

Gli orfani della Crèche di Betlemme in clima natalizio

19 Dicembre, mattino. Altra giornata molto intensa e ricca di incontri con persone straordinarie. Oggi ho avuto la fortuna di poter visitare il Mehwar Center a Beyt Sahour, prima ed unica struttura in tutta la Palestina che si occupa 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno della protezione ed emancipazione delle donne vittime di violenza domestica.

Come ho raccontato ieri, mentre mi ero perso girovagando per stradine e colline, il provvidenziale incontro con il signor Mufid ha fatto sì che potessi entrare in contatto con Linda Ghareeb Jarayseh, una delle responsabili del Mehwar Center da dieci anni e coordinatrice delle relazioni del centro con l’esterno. Mi ha dato appuntamento questa mattina alle undici, e dopo vari minuti di contrattazione a ribasso con un taxista sono arrivato a destinazione senza problemi, il centro si trova infatti su una collina a pochi minuti da Betlemme, facilmente raggiungibile in macchina.

Dopo aver passato il check delle guardie del centro, con una calorosa accoglienza Linda ha iniziato a raccontarmi la storia del centro. Innanzi tutto per Linda e per tutto il personale è importantissimo che le persone passino a conoscere il centro, la sua storia e la sua funzione all’interno della società palestinese, e con grande orgoglio Linda mi ha ricordato varie volte (almeno una volta ogni cinque/dieci minuti) di quanto fosse contenta che questo progetto e la costruzione di questa struttura sia realtà grazie all’impegno del Governo italiano e dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Infatti l’idea del progetto nasce già nel 2000, dopo anni di raccolta fondi, il Ministero degli Esteri Italiano si interessa del progetto provvedendo ai fondi necessari ed al personale necessario per iniziare il progetto e per formare il personale palestinese del centro (la formazione è stata fatta a Roma), nel 2007 la struttura è pronta ed il Mehwar entra in funzione occupandosi di accogliere, proteggete, formare e reinserire nella società le donne vittime di violenza domestica che, scappate da casa con i bambini o da sole e disperate, arrivano al centro per poter essere protette, in alcuni casi sopravvivere, ed in generale aspirare ad una vita migliore, più degna.

È in tutti i sensi rivoluzionario l’operato del Mehwar in Palestina: ogni donna viene affidata alle cure di un’assistente sociale, viene fatto un lavoro a 360 gradi sulla donna che oltre a venire protetta, sottolinea Linda con immenso orgoglio, viene aiutata a sprigionare tutte le sue capacità e bellezze, attraverso corsi d’arte, di make up, ginnastica, e nel caso in cui la ragazza esprima la propria volontà di studiare la si accompagna attraverso gli studi universitari o si completa l’educazione che magari da piccola ha dovuto lasciare a metà per decisione di altri, con tanto di rilascio di certificati ed attestati ufficiali.

Una storia incredibile che Linda mi ha raccontato è quella di una ragazza arrivata al centro completamente atterrita e demolita, attraverso un percorso di riabilitazione personale è arrivata ad esprimere la propria passione, i propri sentimenti e ciò che ha dovuto vivere e soffrire sulla sua pelle, attraverso l’arte. Notate le sue straordinarie capacità il Mehwar ha fatto sì che potesse frequentate un’accademia d’arte, e la ragazza ha spiccato per le sue doti a tal punto che nel 2017 nel centro culturale sito nella piazza principale di Betlemme, il Peace Center, è stata organizzata un’esposizione aperta al pubblico delle sue opere d’arte, con l’inaugurazione della mostra fatta niente meno che dal Governo palestinese attraverso un suo rappresentante! La ragazza piena di gioia si è confidata con Linda dicendole “sono arrivata al Mehwar come una donna distrutta, adesso mi sento una donna davvero importante!” .

La soddisfazione di Linda di fronte a casi come questo è ciò che la porta ogni giorno a lottare per migliorare la condizione delle donne nella società, il Mehwar infatti, va sottolineato, è un centro per la prevenzione della violenza domestica e per l’emancipazione delle donne all’interno della società e delle famiglie delle quali sono parte. Di fatti il lavoro chiave di questo centro nella società è quello di mediare tra la donna e la famiglia dalla quale è stata costretta a scappare, per far sì che da un lato la donna possa crescere, sentirsi meglio, evolvere, e dall’altro che la famiglia possa capire l’importanza e la centralità della donna, cambiando gli atteggiamenti violenti e discriminatori, facendo sì che la donna possa essere reinserita in famiglia in un contesto di totale rispetto ed affetto, sempre che sia volontà della donna tornare in famiglia, diversamente se con la guida ed il sostegno dell’assistente sociale la donna decide di proseguire la sua vita per conto suo, studiando o lavorando, il centro è lì presente per sostenerla in questa decisione.

Infatti una volta uscita dal centro la donna rimarrà in contatto giornalmente con il Mehwar portando avanti un legame e sapendo di poter contare sempre su un appoggio che non le verrà mai meno, non sarà mai più sola!

Dal 2011 il centro è diventanto ufficialmente una struttura statale, ciò vuol dire che lo Stato di Palestina si incarica di pagare gli stipendi a chi lavora nel centro e di non far mancare niente, materiale, vestiti, sorveglianza ecc. La polizia è molto collaborativa in tutta la Palestina, il Mehwar sa di poter sempre contare sull’unità speciale della polizia apposita per la famiglia, anche nei tribunali esiste l’ufficio del Procuratore ad hoc per i casi di violenza sulle donne.

A parte le guardie del centro, tutte le lavoratici al suo interno sono donne, ciò è voluto sia affinché si possa creare un legame ed un’empatia profonda con le ragazze accolte, sia perché, anche inconsciamente, le ragazze accolte possano vedere in queste lavoratrici donne un vero e proprio esempio ed obbiettivo di vita al quale ispirarsi!

Linda da molta importanza al fatto che il centro sia attrezzato anche per accogliere i bambini delle donne e farli studiare nelle scuole locali, e sottolinea particolarmente come il centro sia inoltre aperto alla società circostante. Infatti varie volte a settimana si tengono corsi aperti a tutti nella palestra del centro, e nel salone principale non mancano incontri ed eventi aperti al pubblico, in particolar modo per sensibilizzare la popolazione sul tema della violenza domestica e dei diritti delle donne. La prevenzione e l’educazione sono le chiavi fondamentali per cambiare lo stato delle cose e proteggere le donne, il Mehwar nasce anche, e sopratutto, per promuovere l’uguaglianza nella società, organizza quindi incontri e dibattiti nelle scuole e nelle università, organizza eventi ed esposizioni nei centri dei villaggi e collabora con le associazioni attive nello stesso campo.

Attualmente ci sono dodici ragazze ospitate nel centro, la capienza massima può arrivare fino a trenta, anche se Linda mi ha fatto presente che data la complessità del lavoro che viene svolto con e sulle donne, come detto a 360 gradi (cure mediche, accompagnamento psicologico, assistenza legale, ginnastica, corsi ecc) in questo momento il numero delle lavoratrici non consentirebbe di accogliere più di venti donne (è necessario che ad ogni donna sia garantito un servizio della massima qualità sotto ogni aspetto).

Sono rimasto impressionato quando Linda mi ha raccontato che per il contesto nel quale hanno vissuto a volte sono arrivate donne alle quali è stato necessario insegnare perfino come utilizzare i sanitari del bagno… se ieri ho fatto riferimento al coraggio di certe persone che sto incontrando in questi giorni, oggi Linda ha concluso tutto il suo discorso con un gran sorriso sulla bocca e con gli occhi pieni di orgoglio parlando di queste ragazze così: “loro sono sveglie, molto intelligenti, nella nostra società è davvero una scelta molto coraggiosa quella di dire no di fronte alla violenza e scappare per venire al Mehwar… quelle donne che decidono di dire STOP alla violenza, sono loro quelle coraggiose!”

Infine mi ha fatto presente come il centro è da anni che porta avanti una battaglia legale per vedere approvata dalla assemblea legislativa una legge che parli di diritti e tutele non solo delle donne bensì della famiglia, perché molto spesso sono i bambini i primi a soffrire, e tutelare solo le donne dalla violenza e non altri indifesi e vittime dentro la famiglia non è comunque sufficiente, ribadendo ancora una volta come il lavoro costante del Mehwar, cambiando e migliorando l’attitudine ed il ruolo delle donne, migliora e cambia la famiglia in generale, epicentro della società.

Inutile dire come anche oggi al cospetto di questa donna straordinaria potevo solamente sentirmi estremamente fortunato di poter aggiungere alla lista degli incontri che mi porterò dentro per tutta la vita il coraggio e gli occhi da leonessa di Linda.

Da italiano sono contento che sia stato proprio il nostro Governo ad impegnarsi per rendere possibile e concreto questo progetto, posso assicurare che è davvero una prima goccia d’acqua che senza dubbio porterà ad un cambiamento positivo. Molte volte si riduce la politica ad una superficiale dialettica tra interessi di partiti che non riescono a vedere più in là del prossimo sondaggio elettorale, però, se come italiani siamo ancora capaci di portare avanti progetti come questo in giro per il mondo, la speranza nella Politica italiana, quella con la p maiuscola quasi invisibile però presente, non deve morire, siamo un popolo con molti difetti, ma quando con passione ci sacrifichiamo per il bene degli altri siamo ancora capaci di compiere grandi imprese, proprio come questa, e di ridare speranze a molte persone nel mondo che ci vedono come fratelli e come amici presenti al loro fianco nei momenti e nelle situazioni più difficili e di sofferenza delle loro spesso complicate realtà.

Linda I. Ghareeb Jarayseh del Mehwar Center
Esposizione artistica realizzata da una delle ragazze accolte al Mehwar patrocinata dal Governo Palestinese ed Italiano

19 Dicembre, pomeriggio. Il resto della giornata è stato molto bello e triste al tempo stesso. Bello perché ho potuto passare il pomeriggio alla Créche portando a nome di “Ponti e non Muri” dei biscotti e dolcetti ai bimbi per Natale. Triste perché probabilmente non avrò più il tempo di passare a trovare i bimbi prima di tornare in Italia… comunque me li porterò dentro di me come ho fatto durante questi cinque anni trascorsi dalla prima volta che ho avuto modo di conoscere la Créche.

Oltre a giocare un po’ con i bimbi la parte speciale del pomeriggio è stata poter bombardare di domande suor Maria sulla sua vocazione e sulla sua precedente esperienza da missionaria in Africa (dato che ha avuto, purtroppo per lei, la bella idea di offrirmi un caffè, gli è toccato a sua insaputa sottoporsi all’interrogatorio). Sono rimasto ancor di più a bocca aperta di fronte a questa suora,a questa donna (diciamo che se prima di oggi ero già convinto che le donne fossero senza dubbio il sesso forte, beh, dopo questa giornata lo sono all’ennesimo potenza!) . Ovviamente quello che mi ha detto sono cose sue personali, non avendole chiesto il permesso per rispetto eviterò di scriverle. Posso solo dire che tra scioperi della fame, serpenti e coccodrilli sotto il letto, guerre che l’hanno costretta a scappare da villaggio a villaggio, l’incontro con i profughi del Rwanda e con tante persone delle quali come infermiera si è presa cura durante gli ultimi momenti delle loro vite, se io al posto suo me ne sarei tornato a Madrid o a Modena dopo un solo giorno di missione, lei, sempre con lo stesso sorriso sulla bocca, di anni in Africa ne ha passati venti!! E considerando gli ulteriori diciassette anni passati in Palestina diciamo che inizio a capire perché nulla possa spaventate suor Maria e come in situazioni impossibili lei, con quella forza che le arriva dall’alto, possa sempre saltarci fuori e cambiare la vita di tante persone.

Ovviamente prima di andare sono stato costretto fare una serie quasi infinita di video al presepe che sta costruendo nella chiesa della Créche e del quale, inutile dirlo, è orgogliosissima!

Palestina: Terra di Santi
Suor Maria illumina il sorriso di una piccola orfana

20 Dicembre, mattina.

Gerico

Venerdì ho avuto la fortuna di passare un’intera giornata a Gerico, grazie ad un contatto ho potuto contare sull’accoglienza e la gentilezza di Mohamed, ragazzo palestinese, di Gerico, che ha studiato ingegneria a Pisa essendosi meritato una borsa di studio che il Comune di Gerico metteva a disposizione grazie ad il gemellaggio con Pisa. Mohamed attualmente lavora nell’area di progettazione urbanistica del comune di Gerico e continua ad avere un forte legame con l’Italia avendo quasi concluso ormai anche un Dottorato di ricerca a Sassari. Bello vedere come questi progetti che le città italiane e la cooperazione italiana portano avanti in giro per il mondo possano dare vita a percorsi come quello di Mohamed, il quale ormai è legato da un’affetto profondissimo all’Italia, e continua a lavorare e a spendersi per tenere vivo questo legame anche attraverso il suo ruolo nel Comune della sua città di origine a servizio della sua comunità, organizzando scambi culturali ed accogliendo gruppi di italiani in visita a Gerico per conoscere con i loro occhi la realtà palestinese.

Mohamed mi ha portato sul Monte delle Tentazioni (fisicamente per visitarlo, non allegoricamente intendiamoci), dove Gesù si è ritirato per 40 giorni, e dove adesso sorge un bel tempio ortodosso dal quale si può godere di una vista magnifica su Gerico e sui campi profughi che da molti anni integrano la città. È stato infatti molto interesante scoprire la realtà di questi campi profughi (uno di quasi cinque mile abitanti e l’altro con più di ottomila!) che dal 1948 il primo, e dal 1967 il secondo, formano parte di Gerico. Nonostante siano passati molti anni i palestinesi che vivono in questi campi non hanno ancora smesso di sperare di poter tornare nelle loro case, costretti a scappare ed a lasciare le loro terre, si rifiutano di stabilizzarsi, di accettare la situazione così com’è, aspettando e sperando di poter tornare in quelli che sono i loro villaggi di origine, ossia l’unico posto al mondo che loro considerano tutt’ora come casa.

Gerico, storicamente parlando, è probabilmente la città conosciuta più antica del mondo, camminare tra rovine con più di dieci mila anni di storia, immaginandosi di come per la prima volta uomini e donne si siano organizzati tra di loro al punto da costruire una città con case, campi, mura, pozzi, è un’emozione ed un viaggio indietro nel tempo non da poco, fino all’origine della civiltà umana. Questa città è una perla storica di inestimabile valore, scavi continuano ad essere fatti ed anche l’università La Sapienza di Roma sta contribuendo a questi lavori e a tanti ritrovamenti.

In tarda mattinata abbiamo deciso di andare a fare un giro in macchina fino al Mar Morto, ed è impressionante vedere come alle porte di Gerico, una città così grande, si cambi da un metro all’altro di zona: territorialmente la Palestina è divisa in zona A,B,C a seconda del grado di controllo che Israele ha su ogni zona, a Gerico, letteralmente da un metro all’altro, sulla stessa strada, sullo stesso rettilineo, si passa da una zona gestita dai palestinesi (sempre e comunque sotto il controllo di Israele) ad una zona completamente gestita e controllata da Israele. Si può ben capire come sia facile scatenare tensioni e conflitti in un clima del genere. Solo vedendo questa realtà con i propri occhi è possibile rendersi conto della complessità della situazione, letteralmente impressionante.

Siamo arrivati fino in riva al Mar Morto, dopotutto a Gerico in una giornata invernale di dicembre la temperatura può arrivare a toccare i 27 gradi! (Non mi immagino cosa sia l’estate con temperature che possono arrivare a superare i 50 gradi!).

La mattinata si è conclusa con un pranzo buonissimo a casa di Mohamed insieme a sua moglie ed i suoi bambini, facendomi sentire accolto a braccia aperte a casa loro ed in Palestina, ancora una volta.

Gerico – La città più antica del mondo
Mar Morto

20 Dicembre, pomeriggio. Dopo pranzo Mohamed mi ha portato a far vedere il Sicomoro sul quale era salito Zaccheo in occasione del passaggio di Gesù a Gerico, e finalmente abbiamo incontrato Luna.

Luna è un’amica di Mohamed, Avvocato ed attivista da parecchi anni per i diritti delle donne, per me ha rappresentato ancora una volta l’opportunità di poter incontrare e conoscere un’altra storia meravigliosa da aggiungere al tesoro che mi porterò a casa e nel cuore da questa avventura.

Luna infatti lavora come Avvocato per una associazione locale, da anni si batte in tribunale, e nelle sedi dove sia necessario, per far valere i diritti delle donne maltrattate ed emarginate dalla società a causa delle leggi e dei costumi locali. Nonostante gli strumenti giuridici sui quali Luna possa contare per far valere le ragioni delle sue assistite siano molto limitati, con una grande caparbietà, caso per caso, cavillo per cavillo, si batte cercando ogni possibile strada e soluzione al fine di difendere le donne di fronte ad ogni tipo di ingiustizia.

Con il cuore pieno di rammarico mi ha raccontato un recente caso di una ragazza costretta a prostituirsi, la quale rimanendo incinta decide di portare avanti la propria gravidanza e di amare il proprio bambino fin dal primo istante. Purtroppo però non è consentito ad una ragazza sola registrare la nascita di un figlio, creando un impedimento giuridico/amministrativo tale per cui non esiste via d’uscita, nessuna alternativa. Di fronte a ciò la ragazza è finita in prigione per aver cercato di registrare la nascita del figlio attraverso i documenti della sorella, che essendo sposata invece ha il diritto di concepire figli ed i suoi figli di conseguenza hanno diritto di essere regolarmente registrati alla nascita. Questa donna una volta in prigione, dimostrando un coraggio immenso, un coraggio che solo una madre piena di amore per il proprio figlio può dimostrare di avere, ha iniziato uno sciopero della fame, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, tenendo duro fino al punto di vedere esaudita la sua richiesta: avere la possibilità di parlare con il Ministro delle Politiche Sociali (l’autorità che si occupa di questi casi).

Ottenuto il colloquio con il Ministro la ragazza è stata messa in libertà, di fatti non esisteva nessuna motivazione legale ne denuncia che giustificassero la privazione della libertà della ragazza. La sua incarcerazione era stata totalmente arbitraria, per questo la ragazza si è battuta come una leonessa in carcere, per essere liberata e poter vivere dignitosamente con il proprio figlio, raggiungendo il suo obbiettivo.

Le cose però purtroppo, dopo un paio di anni di vita felice e dignitosa con il figlio, si sono capovolte nuovamente. La stessa autorità che aveva fatto sì che la ragazza tornasse in libertà in un secondo momento ha stabilito che una donna ex prostituta non fosse in grado di crescere il proprio figlio, quindi ha deciso nuovamente di toglierlo alla madre, giustificando tale decisione per “il bene del bambino”. La motivazione reale era che questa donna, per la società nella quale è inserita e per la sua famiglia di origine, rappresentava una vergogna talmente tanto grande al punto da non poter permettersi di crescere, educare e vivere con il proprio figlio… (trattenevo le lacrime con molta fatica ascoltando…)

Di fronte a tale ingiustizia Luna ed il suo team hanno cercato in tutti i modi di far sì che il bimbo non fosse strappato dalle braccia e dall’amore di una madre che per lui aveva già dimostrato di essere pronta a fare di tutto… purtroppo però non è stato possibile fare nulla per aiutarla, nonostante l’enorme impegno di Luna, ed il bambino è stato tolto alla madre per essere dato in affido ad un’altra famiglia che “non avrebbe marchiato di vergogna il bambino di fronte alla società una volta cresciuto” …

Luna però non è una donna che si lasci scoraggiare di fronte alle sconfitte, di fronte al rammarico è capace di tirar fuori tutta la sua speranza e tutta la sua professionalità per continuare a battersi e portare avanti la sua idea di giustizia. Luna vigila constantemente sui diritti delle donne e sui trattati internazionali che la Palestina sta firmando in tema di diritti umani e discriminazione di genere per potersi preparare al meglio per le cause future. Persone ed Avvocati come Luna sono fondamentali nella società per portare un cambiamento profondo. Superare le sconfitte a testa alta, rialzarsi sempre in piedi e continuare a lavorare ancora più duramente e professionalmente di prima sono gli insegnamenti che Luna mi ha trasmesso e dei quali per rispetto suo, e di tutte le persone che si battono come lei, mi sento responsabile di farne tesoro e di mettere in pratica fin da subito, potendo così fare la mia parte e contribuire in modo positivo nella società che mi circonda.

Terminato l’incontro con Luna, tra un taxi che mi ha scaricato in un punto indefinito della mappa della Palestina tra Gerico e Betlemme, ed autostop abbastanza rischiosi (però divertenti!), sono tornato a Betlemme per incontrare un altro nuovo amico e prepararmi al ritorno in Italia, infatti il giorno dopo la sveglia sarebbe suonata alle 5am!

Gerico – Monte delle tentazoni
In riva al Mar Morto

Sera del 20 Dicembre e 21 Dicembre.

Fine dell’avventura.

Tornato a Betlemme da Gerico ho avuto modo di conoscere un’altra bella storia da aggiungere alle tante altre di questo viaggio. Ho conosciuto Kais, ragazzo italiano di origine palestinese, ed il suo compagno di viaggio.

Per Kais questa è la prima volta della sua vita in Palestina, per la prima volta alla scoperta della sua terra d’origine, della terra di suo padre e di suo nonno. Inutile dire l’emozione enorme che trapelava da ogni espressione e parola di questo ragazzo!

Chissà cosa vuol dire dopo tanti anni di storie ascoltate dai nonni e dai genitori poggiare con i propri piedi, toccare con le proprie mani e vedere con i propri occhi la sua terra d’origine! Chissà che emozione passare per il villaggio del nonno ed il villaggio nel quale suo padre è nato e cresciuto, ancor di più sapendo ciò che hanno dovuto soffrire per amore della propria terra.

Kais infatti in cuor suo ha sempre aspettato di visitare la Palestina con suo padre, sognando un viaggio padre e figlio insieme alla scoperta dei luoghi nel quale il padre è cresciuto. Però data la troppa sofferenza che il padre prova nel sapere la propria amata terra in una condizione di costante di tormento e disagio, costretto da giovane a scappare in Giordania per sopravvivere e ricostruirsi una vita, è impossibile per il padre di Kais tornare in Palestina con la situazione presente… troppi ricordi, troppo amore, troppa sofferenza, da spezzare il cuore..

Quindi Kais, capita questa sensibilità del padre, si è lanciato in compagnia di un amico nel viaggio alla scoperta delle sue radici, e per me è stato un vero e proprio onore poter conoscerlo e poter condividere con lui tanti pensieri. Certi incontri nella vita, certi incroci tanto inaspettati quanto improbabili, non sono mai casuali… mai!

Il sabato, dopo una levataccia mattutina per assicurarmi di avere abbastanza ore di tempo da non perdere l’aereo nel caso di problemi nei controlli al passaggio del muro od in aeroporto, mi sono avviato per il viaggio di ritorno a casa in Italia. Vedere il muro e doverci passare in mezzo, fare il check-Point, e passare dalla Palestina e Israele per andare in aeroporto mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca nel vedere un territorio diviso e persone divise dalla paura e dall’impossibilità di trovare un accordo pacifico volto al bene, al rispetto ed al mutuo riconoscimento di tutti…

Sono immagini forti frutto di una situazione geo-politica complessa, immagini che rappresentano cosa l’uomo sia capace di fare per paura ed egoismo… durante questa esperienza una persona mi ha detto di come il suo sogno sia che tutta la Terra Santa un giorno possa arrivare ad essere un territorio unico, senza confini e divisioni, un territorio nel quale reciprocamente le differenti religioni ed etnie si riconoscano in diritto di abitare pacificamente nello stesso territorio, in armonia ed insieme… oggettivamente sembra un sogno irrealizzabile ora come ora, altre soluzioni più pratiche sembrano essere più “facilmente” realizzabili… vero è che le più belle storie da raccontare sono proprio quelle che nascono dai sogni impossibili, sarebbe bello un giorno poter raccontare ai propri figli di come tutte queste divisioni siano solamente qualcosa del passato…sognare è importante, però solo il sogno non basta, lavorare e sporcarsi le maniche e le ginocchia per la pace, questa è l’unica speranza che possa dare vita a questo sogno.

Tramonto sulle colline di Betlemme